IL SOGNO DI BIGONZETTI: MODERNO CON RADICI ANTICHE

(14/04/2001) di Claudia Rocchi
L'evoluzione della danza del '900 ha portato a una scissione sempre più netta tra il balletto accademico e la danza contemporanea. Al punto che quest'ultima è diventata un crogiolo di linguaggi: teatro danza e post moderno, espressioni popolari, giocose, a sfondo sociale, fino alla non danza e a quella tecnologica del momento. Il balletto invece si è mantenuto nel suo universo circoscritto, mostrando un declino sempre più marcato della qualità esecutiva, con poche riscritture interessanti da parte di coreografi audaci. Fa piacere perciò verificare che proprio da un italiano come Mauro Bigonzetti arriva un segnale di ricongiunzione fra i tanti linguaggi che si uniscono nel corpo unico della danza del terzo millennio. Il direttore di Aterballetto, distintosi in questi anni come coreografo fantasioso e originale, compie un passo in avanti tornando indietro. Rilancia cioè una danza moderna, attuale, di impatto, riproponendo un balletto con una storia da narrare. Ha scelto Shakespeare, autore ancora insuperato in quanto a forza narrativa ed evocativa. Ha scelto il "Sogno di una notte di mezza estate", uno dei titoli più facili (sulla carta) per lasciarsi guidare dalla vena creativa e conquistare consensi tra il pubblico. Il Sogno, reduce dall'importante successo francese, è passato anche in Romagna, al teatro Bonci di Cesena, dimostrando la validità della scelta.

Una narrazione che asseconda la trama con un linguaggio attuale. Via la pantomima, è il diktat del creatore, e largo a una gestualità decisa, puntuale, rigorosa. Via l?ambientazione favolistica mielosa, quella inverosimile da cartoon, e largo a una architettura scenografica di Fabrizio Plessi dove i fondali da operetta, si sostituiscono con un bosco fatto di oggetti - tronchi verticali e orizzontali, e costruzioni - pannelli sobri e mirati. E dove il richiamo alla grecità della storia, viene sottolineato da morbidi teli e da un capitello. Unica concessione alla "magia": una fontana zampillante di acqua "vera" cifra dell'opera di Plessi. E ancora, largo alle luci, vera tecnica scenografica del teatro di questo tempo, disegnate da Carlo Cerri sui toni del rosso. Ma largo pure ai costumi essenziali di Guglielmo Capone. Qui i personaggi sono riconoscibili per la forza evocativa che manifestano, non dall'esteriorità dell'abito di scena. E poi le musiche, una vasta partitura scritta appositamente da Elvis Costello, vecchia passione di Bigonzetti fin dagli anni del liceo. Il compositore si adopera per sottolineare i diversi momenti della storia con musiche e atmosfere differenti: venature ora pompose, ora popolari, ora jazz.

Il coreografo concede spazio ai diversi ruoli, assecondando il concetto di danza da lui coltivata. Un corpo di ballo fatto di tanti solisti, molto abili e diversi fra loro, dai quali pretende l'esaltazione della personalità del singolo. La scelta dei "caratteri" del Sogno è quindi oculata, a cominciare dai personaggi espressionisti di alcune fate: la belga Ina Broeckx, una Titania malefica e seduttiva, l'Oberon del francese Cyril Griset e Veronique Dina Jean, un Puck di sorprendente presenza scenica. Attraverso questi, passa una delle invenzioni di Bigonzetti: un bosco moderno dove la "magia" si manifesta con ambiguità, malignità, pericolo. Più giocose le altre fate che danzano (tanto per restare nella commistione fra tradizione e modernità) con una scarpetta e un piede scalzo. Un intreccio plastico e dinamico è quello fra i quattro amanti; altrettanto plastico ed elegante il corpo di ballo degli "artigiani". Forse un maggiore numero di danze corali, avrebbe giovato a dare più risalto a un ensemble di danzatori di alto livello.

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