Spoleto, 14 luglio 2001. E' passata da un 'ora la mezzanotte quando, ubriaca dalla stanchezza del "dietro le quinte", mi lascio alle spalle il palcoscenico deserto di Piazza del Duomo e mi avvio da sola verso l'albergo con una bottiglia d'acqua minerale in mano: sarà il mio champagne per festeggiare. Deve essere stato in un freddo pomeriggio di febbraio che Alberto Testa e Daniele Cipriani m'invitarono a raccogliere con loro una sfida: organizzare una serata di Gala per festeggiare la Danza, anzi la Bella Danza per dirla con le parole del Professore e riproporla al grande pubblico di quel glorioso Festival fondato 44 anni fa dal Maestro Giancarlo Menotti ed oggi diretto da suo figlio Francis. Timore la mia prima reazione, l'incognita delle disponibilità economiche , la prospettiva della tempesta logorroica in quella caccia alla "stella" che avevo già conosciuto in altre occasioni e poi le telefonate intercontinentali con fusi orari impossibili, segreterie telefoniche misteriose e sibilline e risposte mai certe : ecco, mi si offriva la prestigiosa possibilità di sparpagliarmi tra numeri di telefono, in viaggio su e giù per l'autostrada con il mio fedele computer portatile, ormai prezioso e indispensabile come la copertina di Linus. Tra tentativi frustrati ed esaltazioni, improvvisi stop per limiti di produzione, la conferenza stampa del Festival alla fine di maggio aveva ufficialmente varato l?evento, ma non fugato alcune mie incertezze. La nuova collocazione, il gigantesco palcoscenico di 30 metri in Piazza Duomo, uno spettacolo a durata ridotta e la doppia rappresentazione, non avrebbero facilitato quello che speravo fosse un ritorno, inseguendo la nostalgia, degli anni in cui stipati in cinque in una macchina si correva su per quella strada tortuosa per vedere la Maratona.Sono cambiati i tempi, le risorse, gli artisti, ma immutata è la magia di quel luogo e le pietre, le stradine, le botteghe, sembrano raccontare ancora energie e passaggi di musica e danza. Solo pochi giorni fa, su quella piazza brulicante di operai sotto il sole ,abbronzati come bagnini, e lo sguardo esigente di 14 stelle della Danza, si respirava l'odore del legno nuovo delle tavole del palco, in uno spazio che sembrava avrebbe spezzato le gambe alla migliore tecnica di punte o al fiato di un maratoneta dello jetè . Forse è stato in quell'aria sospesa della vigilia, carica di attese e di volontà caparbie, che ho capito che la Maratona di Danza era pronta a tornare su quel palcoscenico: un posto d'onore che le spettava di diritto. Giorni di prove, stress per improvvise defezioni e malattie, accordi raccontati in troppe lingue, attese? Lo spettacolo della prima comincia con le luci soffuse del tramonto su Gutrun Bojesen e Thomas Lund del Balletto Reale Danese, solari come il loro prezioso repertorio Bournonville , di seguito una sequenza di prepotente danza con i nuovi principals dell'American Ballet Theatre, Irina Dvorovenko e Maxim Belotserkovsky, aristocratici e regali nel Lago dei Cigni; dal Bolscioi di Mosca Nikolai Tiskaridze e Galina Stepanenko, rappresentanti di quel tempio mai abbastanza svilito dalle recenti crisi per negare i suoi talenti al mondo, e poi ancora Roberto Bolle , bello come un divo del cinema e partner generoso di grande tecnica ; Marta Romagna nuova prima ballerina della Scala , strepitosa e perfetta in Forsythe; Laura Contardi ispirata e intensa interprete di Kylìan accanto a Rex Harrington, fascinoso , splendido principal canadese; Gregor Hatala , dall'Opera di Vienna ed il suo assolo di divertiti virtuosismi impossibili. Due le immagini che ho rubato, fotografie per l'anima, dallo scorcio buio dietro le quinte dove lavoravo con le dita incrociate : Tetsuya Kumakawa in un attimo d'improvvisa felicità negli occhi , proprio lui che, con quel suo sorriso sempre così beffardo e scanzonato di chi porta il peso di un divismo ingombrante, danza con la furia del talento Le Corsaire accanto la dolce Yukako Sakakibara e una danzatrice, Greta Hodgkinson, prima ballerina del Balletto Nazionale Canadese, splendente e radiosa sulle note di Vivaldi. Finito lo spettacolo, lontana dalla affollatissima passerella in platea del "chi c'era", mi dedico alla raccolta dei mini disc in regia suono e a tutti i prosaici rituali di fine recita mascherando, tra sarte e tecnici , la commozione che mi prude dispettosa in gola; ringrazio da lontano, con gestacci e cenni da scaricatore, gli operai già saliti a smontare il fondale e m'incammino con la mia bottiglia d'acqua in mano. Ecco, uno spettacolo così, l'avessi visto da bambina, avrei creduto alle fate e ai principi azzurri capaci di volare ; il pensiero dura un attimo , fino alla giocosa linguaccia , amorevole sberleffo che scambio a distanza con Kumakawa per poi sorridere grata ai miei mille appigli, nonostante tutti i limiti e le fragilità di questo nostro mondo della danza, che mi hanno aiutato a non mollare mai la presa: andiamo Tersicore, stasera si brinda, ti offro da bere quella mia famosa bottiglia di acqua minerale?